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 Il dito nella piaga

Crolli, degrado urbano e disagio sociale. Le soluzioni? Arrivano dal basso, dal mondo dell’associazionismo  e da quello delle professioni.  Contributi di idee dai residenti, dalla Curia e da liberi pensatori. C’è vita nel centro storico di Cosenza!

di Donata Marrazzo | 14 Settembre 2019

Come una piccola Wall Street

 Breve storia di una trasformazione urbana (in peggio)

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Attenti a toccarla. Se infilate il dito in un muro di antichi laterizi si sbriciola. A volte è spettrale, vuota, fragile, isolata. Rassegnata e periferica per la sua geografia, per la marginalità sociale, per il decentramento di servizi e funzioni. 

Il nucleo originario di Cosenza, il suo centro antico, arroccato sui fianchi di Colle Pancrazio ed esteso fino ai borghi di Porta Piana, dei Rivocati e dei Pignatari, ha oltrepassato il Crati e il Busento solo agli inizi del ‘900, cominciando a modificare il suo impianto urbanistico verso Nord (8 kmq alla destra e alla sinistra del Crati). E mentre nasceva la  città moderna, con una crescita edilizia sregolata, arretrava l’altra, quella storica. Via i residenti, le attività produttive, gli interessi pubblici. Via lo Stato, con lo spostamento della Prefettura, la stazione dei Carabinieri, le banche e i servizi. Bande e microcriminalità hanno contribuito  all'isolamento.

 

Oggi si contano poco più di 2000 residenti censiti (79 in corso Telesio, 120 in via Padolisi, 77 alla Giostra Vecchia, più di 50 tra via e largo San Tommaso), ma quelli reali sono almeno 1000 di più.  Molti palazzi sono stati occupati. Da qualunque parte la si voglia vedere, l'emergenza abitativa è in cima alla lista dei problemi che affliggono Cosenza Vecchia. Eppure la Calabria è la prima regione che ha varato una legge sull'autorecupero del patrimonio immobiliare pubblico, al cui testo hanno contribuito le associazioni per il diritto alla casa presenti sul territorio.

 

«Lo sviluppo esasperato ed esclusivo di Cosenza verso nord, abbandonando il suo modello storico»,  spiega l'ingegnere Mimmo Gimigliano, tra i fondatori dell'associazione per il recupero del centro storico "Prima che tutto crolli" (è sua la proposta di legge regionale di iniziativa popolare per la valorizzazione dei centri storici calabresi). «Ha letteralmente “periferizzato” la città antica, dimenticandone origini e identità e allontanando, assieme ad esse, i suoi valori. L’impostazione della città storica era stata invece pensata e motivata dalla sua posizione strategica, capace di attrarre iniziative economiche e scambi in un’area di raccordo tra le due Calabrie, citeriore e ulteriore, e la città si è così sviluppata e mantenuta per ben ventitré secoli, fino a tempi recenti».

E se pure, alla fine degli anni ‘90, la città tentava di rinascere con il tocco e la visione di Giacomo Mancini, sindaco fino al 2002, precursore della più innovativa rigenerazione urbana, ora Cosenza vecchia cade a pezzi.

È massima allerta sui 90 milioni di euro stanziati dal Cipe per la rinascita del centro storico: cosa farà il ministro Dario Franceschini che durante il suo precedente incarico (quello ricoperto prima della nomina dell'ex ministro Alberto Bonisoli) aveva deciso di inserire la città storica  tra i destinatari del finanziamento?  L'ex ministra per il Sud Barbara Lezzi, poco prima della caduta del governo gialloverde, in occasione della presentazione dei Contratti istituzionali  di sviluppo (Cis) per il rilancio di due macroaree della Calabria, aveva indicato nuovi percorsi per l’utilizzo dei finanziamenti. Il Cis per il centro storico risulta oggi inserito in un progetto più ampio e fumoso. Franceschini azzererà quanto prodotto (più o meno nulla) da chi lo ha preceduto? Intanto Taranto, Napoli e Palermo, destinatarie come Cosenza dei fondi per la riqualificazione delle aree culturali, hanno già avviato l’iter.

Dunque, cosa si può fare concretamente per rilanciare il centro storico di Cosenza? 

In tanti rispondono con rassegnazione (o indifferenza) che non c’è niente da fare. Che è una battaglia persa. «La decadenza della zona, dovuta anche al deupaperamento del patrimonio artistico e culturale, viene vissuta  come una condizione irreversibile e con la quale è necessario rassegnarsi a convivere», sottolinea Francesco Alimena del Comitato area storica Cosenza (Casco). Ma non tutti alzano bandiera bianca. Abbiamo rivolto la sessa domanda ai comitati di quartiere, alle associazioni del territorio, a don Luca, parroco del Duomo, ai commercianti e agli artigiani che tengono aperte le attività su corso Telesio, ai residenti e a liberi pensatori. All'architetto Fulvio Terzi e al sociologo Pietro Fantozzi. Al sindaco e a medici, geologi, architetti, avvocati. E a tutto l’ordine degli ingegneri che ha attraversato vicoli, rampe, gradoni, archi, “scise” e salite, proponendo soluzioni. E visioni nuove.

Cosenza, centro storico

Panorama dal tiburio della cupola del Duomo

Qui troverete le loro risposte. Prima però, immaginatela come una piccola Wall Street, Cosenza, centro fiorente per gli affari, affollata di mercanti forestieri,  alcuni dei quali residenti temporanei durante le fiere di Santa Maria Maddalena e dell’Assunta. Immaginateli questi signori,  arrivati da Genova,  Firenze, Milano, Napoli,  e da Venezia, Lucca, Savona, mentre stringono accordi commerciali con gli operatori economici locali, costituiscono società, concedono mutui, acquistano feudi e investono in attività finanziarie. Sembra di vederli  i loro procuratori  aggirarsi nei pressi di piazza San Tommaso per vendere panni di lana nobile colorata e comprare  seta e legno che si trovano in città. Le merci deperibili sono al quartiere dei Rivocati. Fra i mercanti c’è il genovese Paolo Navone che risiede a Rende.  È il 1515 e Navone imbarca e sbarca le sue merci  sul Tirreno Cosentino, tra Paola e San Lucido, stoffe prevalentemente.  Qualche anno più tardi si trasferirà a Cosenza,  nel quartiere dei Padolisi. Le testimonianze, contenute negli atti notarili  dell’epoca,  custoditi nell’Archivio di Stato di Cosenza, sono state ricostruite in un prezioso volume di Amedeo Miceli di Serradileo.  Una lettura suggerita dall’architetto Fulvio Terzi, fra i massimi esperti della storia urbanistica di Cosenza. Immaginatela così, e guardatela adesso. 

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Edifici aggregati su Lungo Crati

Immaginatela come una piccola Wall Street, Cosenza, centro fiorente per gli affari, affollata di mercanti forestieri,  alcuni dei quali residenti temporanei durante le fiere di S. Maria Maddalena e dell’Assunta. 

Eppure si sente che batte, pulsa, è viva. I bambini che giocano a pallone a Santa Lucia, gli anziani che prendono il fresco appoggiati alle ringhiere dei balconi, i turisti incantati che risalgono corso Telesio. Ad accoglierli, seppur fra tante saracineche abbassate, un paesaggio urbano e umano che non teme confronti. C'è Luisa Gigliotti, la libraria di testi antichi, il Palazzo dei sarti  dove gli allievi di Franco Servidio imparano a confezionare abiti da uomo per principi e sceicchi nella scuola di Riccardo MagaròGiuseppe Salvati, ciabattino da tre generazioni,  ha una bottega da museo, due liutai  danno forma a strumenti perfetti. La fioraia ha una sdraietta a bordo strada. "Basta crolli" urlano gli striscioni del comitato Piazza Piccola.

Annalisa, la profumiera di Patrice che ha aperto accanto al Duomo, diffonde note di  violetta di Francia, di bergamotto di Calabria, cardamomo e rosa di Turchia. Filosa, nascosto dietro una tela, il pomeriggio dipinge.  Katia racconta come solo lei sa fare l’arte tessile del maestro Caruso. I baretti e i locali storici radunano gente: il Gran Caffé Renzelli è da più di due secoli un presidio di socialità. Il ristorante Calabria Bella in pazza Duomo è un concentrato di cucina tradizionale, aperto da decenni.

 

Reggono alcuni temporary shop, voluti 7 anni fa dall’amministrazione comunale di Cosenza, molti però hanno chiuso. Le preziose sciarpe realizzate con i filati di Emilio Leo sono in vetrina poco più su del Duomo: è il corner del più antico lanificio della Calabria, azienda-museo di Soveria Mannelli con un parco monumentale di macchiari dell'800.  Piccole maschere apotropaiche e sculture in legno sono in mostra nella bottega di un intagliatore di ulivo. Ha appena aperto i battenti La calata della corda, bed&brekfast in piazza dei Follari. Poco più giù, sulla Salita Liceo c’è atmosfera vintage nell’atelier di Argia Morcavallo e Laura Cipparrone. Dalla  vetrina dell’Antica Salumeria Telesio già si pregustano taglieri, prodotti e vini della tradizione locale.

 

Le commissioni consiliari alle Attività produttive e Cultura del Comune, hanno proposto l’istituzione dell’Albo delle Botteghe storiche e degli antichi mestieri. E un marchio distintivo che le identifichi.

In piazza XV Marzo, di fianco al Teatro Rendano, l'Accademia Cosentina, antica di 5 secoli, con la  Biblioteca civica, istituzione culturale con oltre 100 anni di storia e trecentomila volumi custoditi, su cui oggi pesano debiti e stipendi non pagati,  sono a rischio di chiusura.

 

Per dare una prospettiva alla città antica, ripopolando e riqualificando  il centro storico, «le strade da percorrere sono molteplici, mentre  unica deve essere la volontà politica e collettiva nel sostenere un impegno che richiede soluzioni urgenti - avverte l’architetto Fulvio Terzi - Basterebbe ripercorrere le vie e i luoghi già tracciati da conoscenze secolari, per riattivare un processo economico di crescita, vedere nel futuro attraverso la forza e l’esperienza del passato». 

Il sociologo Pietro Fantozzi, che ha dato il suo contributo alla pubblicazione del Libro bianco su Cosenza Vecchia, a cura dell’associazione A. Dossetti (Falco Editore, già in ristampa), ha un punto di osservazione molto particolare: la sua attenzione va ai vissuti delle persone che abitano il centro storico, che spesso sono quasi storie di prigionia - come quelle di molti anziani che vivono in vicoli inaccessibili - o storie di abbandoni, di povertà assoluta.

«Il ruolo dei servizi sociali è marginale, nel senso che stanziare pochi fondi per le famiglie indigenti o fare beneficenza non risolve il problema, non restituisce dignità alla gente che vive qui. Non si può avere solo una visione tecnica o economica del problema.  Bisogna ricostruire le relazioni che sono un elemento di coesione e di cooperazione minimo. Durante i miei sopralluoghi nelle case, ho conosciuto persone in attesa di un incontro, della visita di un figlio, di due chiacchiere da scambiare. E di piccoli problemi quotidiani da risolvere, un gradino troppo alto, una porta che non chiude, un vicolo rimasto al buio. Perché nessuno prova a risolverli? - si chiede Fantozzi - Forse perché sono progetti che non ripagano in termini elettorali. Ma bisognerebbe capire che così come è importante recuperare e valorizzare i monumenti, sarebbe necessario rcostruire nel centro storico una rete di relazioni che lasciano tracce per il futuro».

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Le voci della città vecchia

L'impegno della Curia e la scommessa di artisti,

artigiani, commercianti e residenti

«Bisogna ricostruire le relazioni che sono un elemento di coesione e di cooperazione minimo. Durante i miei sopralluoghi nelle case, ho conosciuto persone

in attesa di un incontro, della visita di un figlio,

di due chiacchiere da scambiare. E di piccoli problemi quotidiani da risolvere».

 La mappa del Centro Storico

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Piazza Piccola

Proteste e proposte dal comitato di quartiere

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Virginia Coda e Stefano Catanzariti, i “militanti” di Piazza Piccola

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Sono così come li vedete. Guardiani,  guerrieri, baluardi dei luoghi. Schietti e  propositivi ma con un pizzico di diffidenza. Anche arrabbiati. Temono i crolli, gli abbattimenti, la gentrificazione. L’inerzia delle istituzioni e dei proprietari di molti immobili. Gli interventi a casaccio e i terremoti: lì ogni scossa vale il doppio. I residenti del centro storico portano i segni della loro militanza: «Sapete cosa vuol dire ritrovarsi nel mezzo di un crollo tra le urla, la polvere, la paura? Sapete cosa vuol dire andare a dormire sperando che non accada il peggio?». Virginia Coda non ha ancora dimenticato la notte del 15 maggio 2015 quando venne giù un intero palazzo in via Bombini. Il boato arrivò fino a casa sua. E non rimase un fatto isolato. Nei mesi a seguire, sono venuti giù solai, cornicioni, elementi di copertura. Molte le aree interdette e gli edifici inagibili. Se non è una situazione di emergenza, questa!

Piazza Piccola, comitato non censito (ci tengono a sottolinearlo) per il recupero del centro storico, ha messo insieme gruppi e associazioni (Centro Neverland, Auser, Velvet Factory, Santa Lucia, San Pancrazio, Pangea, Yaeayia Olnus, Radio Ciroma, Usb e Cobas), costituendo un rete di cittadinanza attiva. Hanno condotto studi sulla vulnerabilità sismica dei luoghi, censito i palazzi (52 a rischio crollo) e immaginato uno scenario nuovo: la messa in sicurezza di tutta l’area, dai sottoservizi urbani ai defibrillatori («Qui l’accesso difficoltoso rallenta i soccorsi»), prevedendo innazitutto il recupero dei fabbricati che si trovano lungo le vie di fuga. «I proprietari degli stabili se ne fregano? Se non sono persone indigenti si proceda all’esproprio», propone Stefano Catanzariti che guida il Comitato di quartiere. Si tratterebbe di un provvedimento per pubblica utilità di immobili in stato di degrado o di abbandono (DPR 8 giugno 2001, n. 327).

Il geologo Saverio Greco ha realizzato per il Comitato uno studio dettagliato: “Pianificazione e censimento degli edifici  rischio crollo nel tessuto edilizio degradato di Cosenza”. Ha valutato la vulnerabilità e il rischio sismico (su un’area che è in zona 1) e idrogeologico, considerato la prevenzione e il monitoraggio. Ha eseguito sopralluoghi e rilevamenti su carta tecnica regionale. E una mappatura preliminare con le fotografie di Marco Belmonte, stabilendo il livello di pericolosità di ogni edificio: un catalogo che contiene tutte le informazioni, coordinate, dati metrici, parametri strutturali, danni, pericoli esterni indotti dagli stabili vicini, morfologia del sito. Il 70 % delle strutture ha un livello di pericolosità alto, il 25% medio, il 5% basso. «Ma attenzione,  un livello basso è comunque un indice di pericolosità», sottolinea Greco. Che ha pevisto inoltre tutte le fasi di pronto intervento in caso di calamità e formato un team che è già operativo. «Ora aspettiamo verifiche e ricerche urgenti da parte di enti e istituzioni», aggiunge il geologo.

 

Virginia e Stefano  durante un sopralluogo dopo la caduta di un cornicione in via Gaeta

Quando Stefano Catanzariti pensa alla rinascita del centro storico ha le idee chiare. Farne una città giardino, ad esempio, restituendo il verde ai cortili, ai giardini privati e alle piazze più soleggiate dove magari allestire orti urbani e riempire di fiori i balconi. È il progetto del Comitato Alberi Verdi, che da anni è attivo sul territorio e si rivolge in particolare gli studenti del centro storico con iniziative di educazione ambientale. Fucsie, begonie e viole pendenti nelle zone semi ombreggiate di Corso Telesio. E capperi, campanule, bocche di leone, freesia tra le macerie. L’ispirazione arriva dal progetto “Kepos delle meraviglie” ideato da Orlando Sculli, studioso e ricercatore appassionato della viticoltura calabrese, che ha recuperato ortaggi e alberi da frutto antichissimi, giunti nella regione nel corso dei secoli, attraverso greci, romani, bizantini, profughi arrivati dall’Egitto e dall' Armenia. Proposti scambi di semi, talee e marze con i monaci dell’isola veneziana di San Lazzaro degli Armeni: i cosentini a donare talee di melograno nero (una varietà di origine armena ritrovata in Calabria) e i monaci di San Lazzaro a ricambiare con talee delle antiche rose damascene. E per cominciare, per dare un segnale, nel vicolo che porta a Palazzo Tarsia, il comitato ha disposto fioriere e  installato dei dipinti che rappresentano i simboli di Cosenza: la Madonna del Pilerio accompagnata da un sonetto di Galeazzo di Tarsia.

Catanzariti ha ben chiaro anche a cosa destinare i fondi del Cipe (quei 90 milioni che ci si aspetta che Franceschini faccia giungere a destinazione). Immagina «politiche di sostegno alla popolazione residente, condivise e cogestite» (leggi cap.5). Per fare del centro storico di Cosenza non solo una città-vetrina e monumentale,  ma uno spazio capace di esprimere un nuovo equilibrio nell’incontro tra tradizione e innovazione, cultura ed economia, storia e futuro. Un modello che tenga conto sopratutto della popolazione residente, «supportata da tutte quelle realtà sociali, associative ed enti pubblici e privati capaci già da ora di dare un valore aggiunto al centro storico».

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La rete di Piazza Piccola si occupa del doposcuola dei bambini, dei diritti dei detenuti e del diritto alla salute di tutti i cittadini. In via Gaeta 26, Valerio Formisani (candidato a sindaco alle ultime mministrative per Cosenza in Comune), medico di base, e sua figlia Eleonora, medico e attivista per i diritti delle donne, insieme all’ ematologa Maria Grazia Bisconte, allo psichiatra Giorgio Marchese (Neverland) e a un ortopedico, un oculista e un cardiologo,

Il medico Valerio Formisani 

hanno costituito una équipe multidisciplinare e apertoun ambulatorio popolare, sottoscrivendo un protocollo con Auser (associazione di volontariato e di promozione sociale). Sono a disposizione degli abitanti per visite mediche e richiesta di farmaci, massaggi, consulenze psicologiche. Anche per l’emersione dalla tortura dei migranti. In una sede convenzionata c’è  il dentista che in un anno ha eseguito 15mila prestazioni.

Iniziative che fanno venire in mente i recuperi sociali e urbani realizzati, ad esempio, nel centro storico di Bari, tra i Sassi di Matera, nel quartiere Cavana di Trieste o al Rione Sanità di Napoli, dove l’area è rinata con i progetti della Fondazione di comunità San Gennaro Onlus (e l’associazione Co-Operazione San Gennaro).  Hanno recuperato il patrimonio culturale e artistico della zona ai piedi di Capodimonte, formato i giovani e costituito una cooperativa: molti dei ragazzi del quariere hanno abbandonato la strada. Sono diventati operatori sociali e guide turistiche. Conoscono a memoria la Napoli sotterranea e tutto il patrimonio artistico del rione, a partire dal Cimitero delle Fontanelle dove si celebra il culto delle "anime pezzentelle".

A proposito, lo sapevate che all’interno del cortile del Duomo di Cosenza c’è una cappella cimiteriale con fosse tombali e un essiccatoio che risale al 1400? L’abbiamo visitata con don Luca, il parroco della Cattedrale. Ricorda in piccolo l'ossario napoletano.

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Cappella cimiteriale del 140

Interno della cappella cimiteriale con essiccatoio al centro

e fosse tombali intorno

  Anni '90, ripopolamento e movida

        Giacomo Mancini jr ricostruisce una storia che la città non dimentica: 

l'azione rinnovatrice e lungimirante di suo nonno. Cosa resta?

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Gestione partecipata

del centro storico

 

Il Comune avvia un tavolo tecnico

per la gestione partecipata del patrimonio urbano,

con il coinvolgimento di cittadini e associazioni

 

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Sopralluogo con il collettivo Orizzontale,

l'associazione La Rivoluzone delle Seppie,

una delegazione della London Metropolitan University e cittadini attivi 

Tra vicoli, archi, “scise” e salite

Il centro storico sotto la lente dell'Ordine degli Ingegneri

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La sorte del centro storico di Cosenza li riguarda da vicino. Per forma mentis, esperienza e competenze scientifiche e tecnologiche. Ma anche per quell'attaccamento e quella cura che un ordine professionale provinciale, come quello degli ingegeri, esperime nei confronti del proprio territorio di riferimento. Così si sono riuniti e in gruppo, guidati da Mimmo Gimigliano, ingegnere da sempre impegnato nella rinascita della città vecchia, e dal presidente dell'ordine Nello Gallo, hanno deciso di partecipare al tour organizzato da Calabria Cult, tra vicoli, archi, "scise" e salite. Hanno toccato con mano la fragilità del patrimonio urbano, hanno guardato da vicino le macerie accumulate ai lati delle strade e ammirato la bellezza di ciò che resiste: l'unicità e il grado identitario di un patrimonio che è innanzitutto umano. Non hanno fatto calcoli, ma con occhio clinico e una vision innovativa, si sono fermati a riflettere. E attiggendo ciascuno alle prioprie conoscenze specialistiche, hanno ipotizzato delle soluzioni. Tecniche, culturali, emotive. 

Il loro viaggio comincia da qui.

Nello Gallo, «Siamo tutti attori di primo livello»

Ingegneri in tour

Alla confluenza di Crati e Busento

con l'ingegnere Francesco De Filippis,

per recuperare il senso dei fiumi e della città

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Cosenza sul fiume

Da quando i fiumi hanno perso funzioni, usi e utilizzi propri, per arrivare a costituire solo un problema, anzi una minaccia per i territori? Perché li abbiamo modificati nel loro "divagare", fino a mutarne l'andamento - curve, anse, meandri - e conseguentemente il letto e le rive? Cosa hanno rappresentato il Crati e il Busento per Cosenza storica e come possono ancora contribuire alla rinascita della città e del suo paesaggio circostante? Quando la natura è entrata in conflitto con gli insediamenti umani?

Risponde Francesco De Filippis, consigliere dell'Ordine degli Ingegneri della provincia di Cosenza, coordinatore della commissione urbanistica e territorio, esperto di idraulica e idrologia nella difesa del suolo

 

«​Non possiamo perdere la memoria storica dei fiumi se vogliano riprogettare o ripensare un borgo, il nucleo antico di una città. Ogni nuova idea non può prescindere dallo studio dei fenomeni idrogeologici che si verificano nelle parti montane del Crati, nell'area presilana e silana, e  del Busento, sul monte Serratore della catena costiera tirrenica. Crati e Busento sono parte integrante del Centro Storico di Cosenza! Non fosse altro perché essi hanno rappresentato già nel Medioevo, la spinta, a scegliere il Pancrazio (uno dei sette colli di Cosenza), insediamento sicuro ben protetto dalle incursioni nemiche per il predominio delle terre. I fiumi sono elementi, ab origine, del territorio nudo e crudo. Sono connaturati con il suolo».

 

Qual è la funzione dei fiumi, quella che hanno avuto storicamente e quella di oggi?

«La loro funzione intrinseca è quella di drenare le acque di pioggia (in superficie) verso una foce, sia essa ancora fluviale o in ultima istanza marina. Oltre la funzione intrinseca, che prescinde dall’uomo, il corso d’acqua può assumere quelle che invece gli devono essere necessariamente assegnate, ad esempio la funzione di “fossato” o “elemento di discontinuità territoriale”, come accadde al Crati e al Busento in epoca medievale. Il colle Pancrazio circondato dai due fiumi appariva evidentemente il luogo ideale per difendersi in maniera efficace dal nemico. Potremmo affermare che se non ci fossero stati “i due fiumi” ai piedi del colle Pancrazio (forse) non ci sarebbe stato l’insediamento umano e di conseguenza non ci sarebbe stato questo borgo per come oggi lo vediamo con tutta la sua importanza monumentale».

 

E in epoca più recente, com'era l'assetto di quest'area fluviale in prossimità del centro storico?

Quello che definiamo “dissesto idrogeologico” e “qualità delle acque”. Ieri erano problemi di suolo dissestato, bonifica e di salubrità dei luoghi.  Alla fine del 1800, in occasione di eventi alluvionali estremi, si verificavano seri danni alle strutture incontrate dai corsi d'acqua. Il torrente Busento con le sue piene irruente danneggiava spesso il ponte di San Domenico, fino a renderlo in alcune circostanze impraticabile e quindi fuori uso. Questo, come documentato dalle testimonianze raccolte nei quaderni dell’Osservatorio di Documentazione Ambientale (ODA) dell’UniCal, rappresentava evidentemente un grosso problema per l’accesso e l’uscita dalla città, da e verso nord. Quanto alla salubrità dei luoghi, è necessario un inciso. Il Busento a differenza del Crati, qui termina il suo percorso. Il Crati è a circa un quinto del suo tragitto, che lo porterà a sfociare nel golfo di Corigliano a Sibari, il Busento conclude la sua corsa sfociando nel fiume Crati qui a Cosenza. Come ogni torrente che arriva alla sua foce, anche il Busento assumeva (metà ’800) una conformazione morfologica sub-pianeggiate propriamente detta “conoide di deiezione”. Si tratta di una particolare forma che il letto fluviale assume alla foce, a forma appunto di cono, per effetto di un’azione lunga e costante nel tempo (millenni!) di deposito del materiale solido proveniente da monte».

 

E in epoca più recente, com'era l'assetto di quest'area fluviale in prossimità del centro storico?

 

Quello che definiamo “dissesto idrogeologico” e “qualità delle acque”. Ieri erano problemi di suolo dissestato, bonifica e di salubrità dei luoghi.  Alla fine del 1800, in occasione di eventi alluvionali estremi, si verificavano seri danni alle strutture incontrate dai corsi d'acqua. Il torrente Busento con le sue piene irruente danneggiava spesso il ponte di San Domenico, fino a renderlo in alcune circostanze impraticabile e quindi fuori uso. Questo, come documentato dalle testimonianze raccolte nei quaderni dell’Osservatorio di Documentazione 

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Francesco De Filippis

Ambientale (ODA) dell’UniCal, rappresentava evidentemente un grosso problema per l’accesso e l’uscita dalla città, da e verso nord. Quanto alla salubrità dei luoghi, è necessario un inciso. Il Busento a differenza del Crati, qui termina il suo percorso. Il Crati è a circa un quinto del suo tragitto, che lo porterà a sfociare nel golfo di Corigliano a Sibari, il Busento conclude la sua corsa sfociando nel fiume Crati qui a Cosenza. Come ogni torrente che arriva alla sua foce, anche il Busento assumeva (metà ’800) una conformazione morfologica sub-pianeggiate propriamente detta “conoide di deiezione”. Si tratta di una particolare forma che il letto fluviale assume alla foce, a forma appunto di cono, per effetto di un’azione lunga e costante nel tempo (millenni!) di deposito del materiale solido proveniente da monte».

Questo processo ha modificato quindi i corsi d'acqua di Cosenza?

 

«Nel caso specifico, il Busento ha depositato nel corso dei millenni il materiale trasportato da monte nelle parti di fondo del sistema collinare che qui vediamo. Su tale sistema pedologico di base, il fiume si è poi costituito un percorso tutt’altro che rettilineo, scorrendo da una parte all’altra con un andamento ramificato, curvilineo. Le mappe storiche e le fonti scritte ci indicano come il Busento in questa zona formasse un’ansa verso via Rivocati e successivamente una contro ansa, “rasentando il Pancrazio prima di sfociare nel Crati ai piedi del poggio di San Francesco da Paola” - da testimonianze di metà ’800 -, nella zona di Colle Triglio. La “contro ansa” di cui si parla generava un bancone di materiale sabbioso tra il complesso di San Domenico e il Busento, appena prima della confluenza con il Crati,  che doveva risultare più arretrata verso monte rispetto all’odierna posizione. E allora succedeva che dopo gli eventi alluvionali di pioggia intensa si formavano degli impaludamenti d’acqua in cui si miscelavano sostanze vegetali e organiche, trasportate da monte, con la possibilità concreta che tale miscuglio liquido andasse in putrescenza alimentando conseguentemente l’insorgere di insetti potatori di malattie come la malaria. Per tali ragioni i luoghi erano malsani e l’aria insalubre. E dunque, i fiumi, che nel periodo medievale, assolvevano ad una qualche utilità, successivamente diventano un grosso problema».

 

E cosa è cambiato con i primi piani regolatori?

«Nel 1887 il Comune di Cosenza si dotava di uno strumento di pianificazione territoriale e urbanistico per risolvere proprio questi  problemi  e al contempo programmava un ampliamento dell’insediamento urbano. Lo strumento si chiamava Piano Regolatore d’Ampliamento e si rifaceva alla prima legge post unità d’Italia, la n. 2359 del 1865 c.d. legge sugli espropri per pubblica utilità. È il momento in cui si avvia una grossa bonifica del territorio mediante l’arginatura dei fiumi Crati e Busento: i fiumi vengono rettificati con muri d’argine per far meglio defluire le acque. E si realizzano delle gradonature (attraverso la realizzazione di briglie) per ridurre i fenomeni erosivi in alveo. È l’eterna lotta tra natura e sicurezza! Le arginature proteggevano dai fenomeni di esondazione e quindi consentivano che l’espansione urbana avvenisse più prossima ai fiumi … togliendo spazio alla natura! Il successivo piano urbanistico a firma dell’ing. Camposano, è del 1906, e disegna la città di Cosenza al di là dei fiumi. Si progetta l’espansione della zona dei Rivocati e della Riforma, così come quella di San Domenico e del Carmine. Intorno a questo periodo storico e fino ai nostri giorni forse non è azzardato affermare che i fiumi Crati e Busento abbiano assunto sempre una certa attenzione solo per quel che attiene la riduzione del rischio idraulico ossia come elementi del territorio da cui difendersi. Funzioni, usi, utilizzi, a loro assegnati, tali da produrre un riscontro economico duraturo diretto o indiretto che sia, non ve ne sono mai stati».

 

Come rivive un fiume?

«Con la pesca, le escursioni e lo sport lungo le rive, la fruizione paesaggistica attraverso attività artistiche e culturali trasversali... Ma parliamo di attività  tuttora marginali. Certo, bisogna riconoscere che idee in campo ce ne sono! Per esempio dai social si apprende che sono stati appaltati i lavori di navigabilità del fiume Crati. Ma per valorizzare il borgo antico? Si tenga presente che a valle della confluenza, per intenderci, nei pressi del ponte Calatrava, già ci si comincia ad allontanare dal centro storico.  Qualsiasi idea è buona: pesca sportiva organizzata, navigabilità e mobilità fluviale, mini produzioni di energia idroelettrica sostenibile. E perché con la demolizione dell'Hotel Jolly a Cosenza, per esempio, non si è pensato di restituire “un cuneo urbano” al fiume? La tecnica e la tecnologia oggi consentono di fare tutto. Ma la memoria storica? Beh, quella ci dice che qualsiasi idea non può prescindere dalla sistemazione idrogeologica delle parti montane se vogliamo che a valle, quindi alla confluenza dei fiumi Crati e Busento, vi sia una situazione relativamente tranquilla, sia dal punto di vista del trasporto solido che dal punto di vista della qualità delle acque. Ce lo ha insegnato la storia!

Una volta riscoperto il "senso" dei fiumi, di cosa avrebbe poi bisogno la città antica?

C'è bisogno di un sistema di drenaggio urbano efficiente ovvero di efficientare e migliorare quello esistente. Non è possibile vedere i vicoli e i vicoletti trasformarsi in veri e propri canali d’acqua, pericolosissimi, durante eventi alluvionali di pioggia intensa. Sarebbe una delle opere pubbliche più importanti, che darebbe al cittadino un segnale di attenzione concreto da parte dell’Ente pubblico verso questo grosso patrimonio storico. Il resto, i cosiddetti problemi culturali  sono solo un’astrazione. La differenza tra tribù e città sta nell’evoluzione complessa del modello di gestione delle componenti costitutive delle due entità. L’uomo appartiene alla terra, diceva Capo Seattle, oggi invece è la terra che appartiene all’uomo. Si è accettato un soggetto terzo garante dei diritti dei cittadini, lo Stato, rispetto a una forma di società più semplice in cui ogni individuo era responsabile diretto delle porzioni di territorio in cui viveva: sentieri, fiumi, boschi, fauna. In una tribù la questione culturale, dal punto di vista antropologico, era al top! Ma come si fa oggi a ritornare indietro per riprenderci quella cultura propria dell’uomo? Oggi, possiamo solo chiedere che l’Ente pubblico faccia necessariamente il suo dovere, ossia di dotare gli insediamenti (facenti parte del territorio amministrativo) delle opere pubbliche e dei servizi fondamentali, quelli che non possono mancare, appunto necessari. E allora, quale cittadino, vedendosi riconosciuti i propri diritti, non è ben disposto insieme al suo Stato a intraprendere il giusto percorso di crescita culturale? A operarsi nella quotidiana tutela e valorizzazione dei luoghi ricevuti in eredità?  A lottare sempre con tutte le forze affinché le radici culturali non vengano mai cancellate? Credo sinceramente nessuno, a prescindere dal grado di cultura!!! 

 

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Tutto un altro centro storico

 

Accertamento della proprietà immobiliare,

agevolazioni, accessibilità, nuove soluzioni energetiche.

Contributi e la partecipazione degli ordini professionali

Signor Ministro, i 90 milioni di euro

per Cosenza sono una chimera?

Il destino dei fondi stanziati dal Cipe per il rilancio della città.

E i progetti di enti, associazioni, comitati di quartiere

Li aspettano tutti, il Comune, la Regione, i comitati di quartiere e le associazioni. Ognuno guarda a quei fondi come a una manna per il centro storico di Cosenza. Sì, la città vecchia può rinascere, come Taranto, Palermo Napoli: «Hanno bisogno di riqualificazione nel cuore delle città», aveva detto Dario Franceschini all'inizio del 2018, presentando il provvedimento e la delibera del Cipe. Una strategia a sostegno «di nuovi interventi di quel cantiere cultura Italia avviato quattro anni  fa - spiegava ancora il ministro del Mibact - per recuperare un colpevole ritardo nell’adempimento dell’articolo 9 della Costituzione, che investe la Repubblica del compito di salvaguardare il patrimonio culturale e paesaggistico della nazione».

La fase gialloverde ha confuso le idee. Il Contratto di sviluppo per Cosenza, annunciato dall'ex ministro ai Beni Culturali Alberto Bonisoli per la gestione degli interventi  è stato superato dall'iniziativa dell'ex ministra per il Sud Barbara Lezzi, che di Cis in Calabria ne ha previsti due per il rilancio di due macroaree, quella delle province di Catanzaro, Cosenza e Crotone, e l'altra per Reggio Calabria e Vibo Valentia, indicando così nuovi percorsi per l’utilizzo dei finanziamenti, su base questa volta territoriale.

Così, il Cis per il centro storico risulta oggi inserito in un progetto più ampio e fumoso. Quale sarà la prossima mossa del ministro Dario Franceschini che è tornato a guidare il Mibac(t)? Condividerà questa impostazione?

Cerca risposte un gruppo di associazioni e di comitati di quartiere di Cosenza (“Prima che tutto crolli con le associazioni "Insieme per i centri storici” e “Osservatorio Cosenza Vecchia”; “Civica Amica”, “Cosenza che vive” e i comitati “Kaep”, “Archi di Ciaccio, Porta Piana, Vergini”, Casco e “Rivocati”) che ha scritto al ministro. Temono che «quell’iniziativa di recupero stia perdendo molta della sua forza e del suo significato, rischiando di esaurirsi per effetto di decisioni con tutt’altre finalità assunte. Sembrano svanite - aggiungono - le intenzioni e le finalità con le quali, in conseguenza di quella sua visita a Cosenza del 27 novembre 2017, aveva deciso di avviare questa azione strategica sfociata nella decisione Cipe». Ritengono che «si sia organizzato un vero e proprio scippo a danno del centro storico di Cosenza, quello di un’occasione unica di rivitalizzazione».

Di buono c'è, però,  che nessuno ha perso tempo. Regione, Comune,  associazioni e comitati hanno elaborato progetti e raccolto idee per il rilancio della città. 

Piazza Piccola ha presentato un piano molto articolato (per la sicurezza, il recupero strutturale, quello sociale, la mobilità, sport e integrazione, percorsi fluviali, residenze artistiche e botteghe, utenze e nuovi residenti), che partendo dalla «gestione farraginosa e lacunosa delle problematiche del territorio», fa il punto sullo stato attuale del patrimonio immobiliare, come pure sulle politiche sociali e abitative. «Se investimento deve avvenire nelle aree degradate e bisognose, ciò deve essere tramite politiche di sostegno alla popolazione residente, condivise e cogestite, con la creazione di organi di gestione e controllo, ove tutte le realtà territoriali possano vigilare sulla qualità e sul buon esito delle proposte, rifuggendo interventi puramente speculativi e promuovendo iniziative capaci di attrarre percorsi di ripopolamento e crescita socio-culturale delle aree prese in esame». E aggiungono: «È altresì necessario unire politiche d’investimento strutturale per la salvaguardia del patrimonio immobiliare a politiche di formazione e lavoro». Non escludono espropri e prevedono precise destinazioni d'uso degli immobili, comprese le modalità di gestione, controllo, partecipazione.

Il sindaco Mario Occhiuto, che ha partecipato al tavolo tecnico istituzionale per il centro storico di Cosenza, presentando la sua idea di rinascita agli ex ministro Alberto Bonisoli e Barbara Lezzi (un dossier di 42 pagine), ha dichiarato: «Abbiamo una visione complessiva su come riqualificare in maniera davvero incisiva il Centro storico di Cosenza. Una visione che identifica nell’arco di 15 anni, 7 dei quali sono già trascorsi, un percorso con  proposte precise. Abbiamo  presentato  una ripartizione mirata dei 90 milioni di euro del Cipe su idee e progetti concreti. La nostra è una proposta operativa perfettamente dettagliata sui 20 alloggi da recuperare a seguito di inadempimento dei proprietari (30milioni di euro), sul rifacimento della rete idrica e fognaria (6milioni di euro), sui fondi che servono ad esempio per altri sotto-servizi (2milioni) e, ancora, sull’accessibilità facilitata (12 milioni di euro), sulla riqualificazione degli spazi liberi aperti e sul verde (5milioni di euro), sugli alloggi di proprietà della Provincia da destinare a facoltà universitarie (10 milioni di euro), sugli immobili, poi (25milioni di euro), da destinare ad alloggi per 3mila studenti e giovani coppie portando così nuove persone a vivere nel centro storico. Bisogna agire sul presente e in prospettiva, scongiurando l’ennesimo ciclo di degrado e abbandono con un’azione continuativa e persistente”. Oltre ai 50 milioni di risorse già attivate attraverso il Piano Periferie, l’Agenda Urbana e l’accordo Metro Cosenza-Regione Calabria, il Comune  «fa ora affidamento sui 90 milioni di euro dintegrazione e completamento  delle altre risorse già incanalate per l’obiettivo da raggiungere».

 

 

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«L’area  del centro storico è ancora in grado di ricreare quella centralità e ridare a Cosenza Vecchia quel ruolo di polo urbano che lo sviluppo recente le ha tolto». L'ingegnere Mimmo Gimigliano, portavoce di "Prima che tutto crolli" parte da questa considerazione. La sua associazione ha formulato una proposta  conforme alle direttive del Piano Operativo “Cultura e Turismo”, condivisa da altri gruppi (i comitati Kaep e Porta Piana, Archi di Ciaccio e Vergini  e le associazioni Civica Amica e Cosenza che vive) e recepita dalla Regione Calabria. Si è partiti dalla necessità di salvaguardare e valorizzare la memoria storica, culturale e sociale della città vecchia, l'identità dei luoghi, il miglioramento della qualità della vita dei cittadini residenti,  dell'accessibilità al centro storico, i principi che guardano ad operazioni di riuso, recupero e rifunzionalizzazione degli spazi urbani. La cultura, dunque, ma soprattutto la sicurezza e le esigenze degli abitanti, grazie all'integrazione di  ulteriori risorse regionali.

L'idea è quella di realizzare una "Cittadella della cultura” (composta dagli edifici di Accademia Cosentina, Biblioteca Civica, Convitto Nazionale, Liceo Classico,Teatro Rendano, e dal contiguo Palazzo Sersale – Vergini), farne l’Akropolis di Cosenza, nucleo centrale di un progetto integrato e sostenuto con fondi aggiuntivi per lo sviluppo  di politiche di coesione, di politiche abitative e di interventi di rigenerazione e di sicurezza.

Un progetto, quindi, collocato all'interno di una strategia complessiva più ampia di riqualificazione ed integrazione con l'area urbana, in coerenza con i principali programmi di investimento, tra i quali l'Accordo di programma per la mobilità sostenibile e l'Agenda Urbana. L'obiettivo è di realizzare un programma pilota di interventi complementari e coerenti tra loro che riassegnino a Cosenza quel ruolo che ha storicamente avuto, soprattutto in considerazione delle ricchezze del suo patrimonio architettonico, artistico e paesaggistico, e della forte potenzialità di valorizzazione che ne deriva. Senza mai tralasciare però le istanze provenienti dagli abitanti dei vecchi quartieri.

«Quale funzione, quale ruolo si intende assegnare alla città futura e in particolare alla sua parte antica? - si chiede l'ingegnere Gimigliano - Se si vuole la rinascita di Cosenza Vecchia, e il nostro impegno è in questa direzione, allora Cosenza storica deve riappropriarsi del suo ruolo territoriale, perduto con lo sviluppo recente e con l’incuria delle istituzioni, riprendendo e rafforzando la sua identità di polo culturale tra i più importanti del meridione. Abbiamo risorse, progetti e norme, come la proposta di legge regionale per la salvaguardia dei centri storici che attende di completare l'iter legislativo con l’esame in aula, per affrontare realmente il problema della rivitalizzazione del centro storico di Cosenza»

«Ci siamo limitati a indicare le linee guida perché  non possiamo sostituirci ai tecnici, nè alla Regione che certamente sul centro storico di Cosenza ha una visione d'insieme più dettagliata di Ministero e Comune, visto che ha la possibilità di aggiungere risorse al finanziamento del Mibac». Francesco Alimena, portavoce del Comitato area storica Cosenza, ha stabilito nel suo documento emergenze e priorità, prevedendo interventi infrastrutturali, la riforma dei luoghi (con la gestione condivisa e collaborativa dei beni comuni), il recupero della loro identità, del dov'era e com'era, il design del paesaggio, l'innovazione urbana.

 

Dunque, è il sogno di tutti: il centro storico di Cosenza rigenerato, ripopolato. Vivo. Un punto sul quale, oltre i contrasti, si potrebbe

trovare convergenza e conciliazione.

 

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