Gerace, chiamata alle Arti,
l'altra estate dei Mantella's Boys
(cronaca di una giornata nella villa romana del Naniglio )
di Elisa Longo | 8 Agosto 2017
Sono le 8 del mattino e a Locri il sole è rovente. Nel seminario della diocesi i ragazzi della Summer school Arte e Fede si svegliano poco per volta. Hanno i volti assonnati ma illuminati dal bianco di una divisa che esibiscono con orgoglio. È il segno distintivo che li identifica, per strada, tra la gente, che fa riecheggiare, in pochi centimetri di stoffa, il pulsare sonoro del cuore della loro missione. Arrivano da diverse città dell'Italia e della Calabria, hanno modi diversi di relazionarsi al mondo ma ora, dietro le aspettative di una nobile causa comune - rendere più fruibili i preziosi artistici della Calabria - ora costituiscono la forza equa di una grande squadra. Sono studenti dell’università di Trento, Verona, Napoli, Reggio Calabria, della Pontificia Università Gregoriana, dell'Accademia delle Belle arti di Napoli e L'Aquila, oltre ai giovani del corso di restauratore per i beni culturali della Provincia di Reggio Calabria. Una ventina in tutto, ma con la nuova sessione appena cominciata arriveranno a 70. Partecipano al corso di rastauro voluto da Monsignor Francesco Oliva, in collaborazione con il Segretariato regionale del Ministero dei beni culturali, la Regione, la Città Metropolitana di Reggio Calabria, il Comune di Gerace, con la supervisione del dipartimento Patrimonio, Architettura e Urbanistica dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. A dirigere la scuola estiva, Giuseppe Mantella, esperto restauratore calabrese, che vanta lavori in tutta Europa.
15 giorni in seminario in nome dell'Arte
Nella sala del seminario qualche faccia ancora appesa fa colazione: tutti sanno che li attende una nuova giornata di lavoro. Zaini in spalla, contenitori carichi di attrezzi, un giro di boa di spatole, spazzole, solventi e mascherine. Fra loro c'è Antonella Aricò, un corso di qualificazione professionale per collaboratore restauratore di Beni Culturali a Reggio Calabria, maturità in restauro ligneo, laurea in Beni Culturali conseguita all'Università di Messina. «Condividere 15 giorni ininterrotti di lavoro, di risate, di confronti, in cantiere e nelle stanze del seminario di Locri, dove veniamo ospitati con grande generosità, è un'esperienza incredibile - racconta - un arricchimento professionale ed umano ineguagliabile, considerando il fatto che viviamo ogni momento sempre sotto la supervisione di un maestro come Giuseppe Mantella, che vive totalmente per il suo lavoro e lo fa con generosità estrema e con fare paterno. Stiamo acquisendo la consapevolezza che il nostro lavoro qui apre uno spiraglio verso una nuova dimensione, anche se sarebbe desiderio di tutti aprire in Calabria un vero e proprio centro studi in cui proseguire negli anni quello che è stato iniziato oggi».
Il Sole del Naniglio
«La bella sorpresa di quest'anno - continua Antonella - è stato l'intervento nel sito archeologico del Naniglio, che pur non essendo in programma, necessitava di un'urgente messa in sicurezza, trovandosi in stato di pessima conservazione, con i suoi mosaici completamente celati da strati biologici. Una grande emozione veder riaffiorare la policromia del grande sole a paste vitree».
L'area, collocata immediatamente fuori dal centro storico di Gioiosa Jonica, una villa romana edificata nel I sec. a.C., raggiunse il suo massimo splendore nel III sec. d.C. Gli scavi archeologici, condotti tra il 1981 e il 1986, hanno fatto riemergere il settore inferiore del complesso. L’elemento ad oggi più fruibile, per l’eccezionale stato di conservazione, è la grande cisterna ipogea a tre navate, la cui copertura è costituita da un insieme di volte a crociera, sorrette da otto pilastri quadrati disposti in due file. All' estremità sono emersi poi alcuni ambienti, con pavimenti a mosaico policromo a motivi geometrici e intonaco dipinto sulle pareti. In questi ambienti i ragazzi di Arte e Fede occupano ciascuno la propria postazione. Con movimenti lenti e delicati, un alternarsi di formule dinamiche simili ad una danza, una ripetizione armonica di azioni come un lungo mantra gestuale, puliscono e riassemblano tessere, ridando vita ad una straordinaria testimonianza del passato, per anni compromessa dalla noncuranza. A supervisionare il lavoro dei ragazzi l' attento Giuseppe Mantella alterna direttive e lavoro diretto, chinato, raccolto, dispensa esempi pratici con precisione da chirurgo.
Sotto la guida di Giuseppe Mantella
Giuseppe Mantella, oggi premio Cassiodoro, restauratore d'arte con alle spalle incarichi prestigiosi tra il Vaticano e Malta, un particolare legame con l'opera di Mattia Preti, è un restauratore e un calabrese. Non che le due cose non possano sottintendersi vicendevolmente ma chi ha avuto modo di conoscerlo sa che l'uno e l'altro aspetto costituiscono, cosi distintamente, la pienezza della sua persona. «Lo so che può sembrare pazzesco ma è consuetudine che io passi da una Santa Teresa del Bernini a questa missione grandissima che è il recupero dell'identità artistico-culturale nella mia terra e che lo voglia fortemente». Si racconta così il Maestro Mantella, e ci racconta com'è nato il progetto, che ancora in via di sperimentazione, sta già restituendo speranze e possibilità di una più attenta valorizzazione del patrimonio artistico-culturale calabrese.
L'idea della Summer School
«Nel maggio del 2016 mi trovavo a Gerace e durante una visita alla cripta della cattedrale, insieme all'amico Attilio Spanò ho avuto modo di confrontarmi su un tesoro nascosto di marmi policromi, provenienti dagli altari barocchi smantellati durante vari rimaneggiamenti nel corso del XIX secolo. L'idea di una chiamata alle armi, per una messa in sicurezza ed un recupero di quelli ed altri tesori, è subito parsa la soluzione migliore». Così un esercito di energici difensori del bello arriva in Calabria già nell'estate del 2016, tra la consueta disattenzione delle istituzioni e il coraggioso entusiasmo della diocesi di Locri-Gerace e del Soprintendente di Belle Arti e Paesaggio della Calabria Margherita Eichberg. Attraverso un bando, sin dal primo anno di attività, vengono selezionati giovani studiosi ed esperti provenienti dall'università di tutta Italia. Tra il primo ed il secondo anno circa 250 ragazzi hanno chiesto di poter essere parte attiva di questa significativa spedizione. Racconta ancora il professore Mantella, con un'energia che anima mimica facciale e gestualità, che non può dirsi polemica ma amore consapevole e viscerale per la propria causa: «Era importante che il reclutamento dei ragazzi avvenisse tramite un bando, perché, in una regione come la nostra, si doveva dare un segnale chiaro e forte e ribadirne il contenuto: i Beni Culturali sono questione seria, che spetta di diritto alle specifiche competenze degli storici dell'arte, dei restauratori, degli archeologi, degli architetti. Non possiamo più permetterci che testimonianze così importanti della nostra storia culturale vengano letteralmente abbandonate nelle mani di incompetenti o esposte a spericolati piani di alternanza scuola lavoro, che dovrebbero piuttosto far appassionare i giovanissimi ma certo non caricarli di responsabilità di cui non possono rispondere per ovvie ragioni».
Interventi tra Caulonia, Gerace e Polsi
La scelta di costruire idealmente un percorso che toccasse i tre punti nevralgici della Locride, un nord, un centro ed un sud rappresentati dalle città di Caulonia, Gerace e Polsi, esprime un'idea di ramificazione dell'azione sul territorio, che partendo da tre poli simbolici e si espande. Fondamentale per l'evoluzione del progetto, l'impegno di molti ecclesiastici della zona, che si sono adoperati, nei mesi invernali, in una caccia al tesoro davvero singolare: scovare oggetti e reperti visibilmente in cattivo stato di conservazione, per poi trasportarle fino a Gerace, dove s'è costituito un vero e proprio laboratorio di restauro.
Moltissime, in questi due anni, sono state le opere messe in sicurezza e restaurate. Tra queste il monumento funebre Carafa di Caulonia, per cui fondamentali sono risultati gli interventi del dipartimento del Patrimonio artistico e urbanistico dell'università di Reggio Calabria, che effettua con le apposite strumentazioni rilievi 3D delle opere; i marmi barocchi della cattedrale di Gerace, appartenenti a 12 diversi altari, la cui storia verrà ricostruita grazie al lavoro del Pau, alle indagini scientifiche mirate e agli studi degli esperti in campo storico- archivistico, con una particolare attenzione sulla tecnica esecutiva degli intarsi marmorei; il portale della chiesa di Polsi; una Madonna del Rosario proveniente dalla chiesa di Camini, e l'appassionante storia del suo cartiglio in latino secentesco, alla cui traduzione hanno lavorato Don Raffaele Vitale e Irene Maniscalco della Pontificia Università Gregoriana; un San Michele Arcangelo con San Giovanni Battista dalla chiesa di Bianco, attribuito a Francesco Cozza, che le vernici completamente ingiallite avevano reso illeggibile a tal punto da conferirgli una bidimensionalità ingannevole: il lavoro di pulitura ha riportato alla luce la straordinaria tavolozza, la tridimensionalità e la certezza di una grande fattura, avvalorando ancora di più la tesi attributiva dello storico dell'arte Giorgio Leone; un tondo marmoreo con l'Addolorata, di cui è difficile ricostruirne la provenienza, forse Locri, che porta con sé la curiosa scoperta del relativo Ecce Homo all'interno della Cattedrale di Gerace e tutta una serie di interrogativi, fuori dalle analisi stilistiche dalle ipotesi attributive, sul perchè poi sia stato smembrato e collocato altrove; un San Francesco di Paola ligneo dalla chiesa di San Francesco di Stilo, attribuito ad A Testa; una Madonna della Purità lignea da Siderno Superiore; moltissimi argenti provenienti dalle chiese di Roccella Ionica.
Il rudere come araldo
Il non finito, le macerie, il perduto: la Calabria rianima la sua forma originaria negli sfavillii policromatici, tra le variabili geomorfologiche o nel suo inenarrabile sentimento dell'abbandono che è il più affascinante degli interrogativi. Il rudere come araldo, come segno distintivo di un popolo che intrinsecamente si riconosce nelle macerie del tempo ma non ne ha cura, che spontaneamente assimila suoni antichi ma rinnega la paternità del proprio linguaggio, che ha marchiati i lineamenti da una genetica bizantina eppure non ne ha sempre piena consapevolezza.
Anche per questo, la Summer School della Locride è una grande opportunità: per la gente comune che interagisce con il proprio patrimonio artistico attraverso la mediazione diretta degli studiosi e per i giovani partecipanti, cui viene offerta una seconda fase di formazione pratica, col vantaggio di potersi assumere la responsabilità del proprio lavoro davanti a opere di grande valore, con una conseguente crescita umana e professionale a sigillare il sacrificio e l'amore coltivati in anni di studio e dedizione.
Ed è una risposta all'insidiosa questione della cattiva gestione del patrimonio culturale, in un contesto di incomunicabilità e settorializzazione, di energie affievolite da una visibile mancanza di gioco di squadra: finalmente partecipano a una campagna non solo i tecnici dell'arte (restauratori, archeologi e architetti) ma anche i teorici (storici dell'arte): «Direi che le parole simboliche, che descrivono al meglio le finalità della nostra missione siano sinergia e contaminazione - conclude Mantella - si è data la possibilità di partecipare al bando non soltanto a restauratori ma anche a storici dell'arte, ad archeologi, ad architetti, per insegnare loro che la comunicazione e la cooperazione tra le competenze diverse adoperate nella medesima causa, non solo è vincente ma anche necessaria».